Buon viaggio, mamma


Lunedì 23 agosto la mia mamma è partita per l'ultimo viaggio.
Questo il mio saluto pubblico.


Si diventa un po’ tutti buoni, a volte addirittura santi, o comunque quasi perfetti, dopo.

Mamma no, lei per me era meravigliosamente imperfetta. Arrendevole quando, ai miei occhi, avrebbe dovuto combattere, cocciuta quando l’avrei voluta dimessa. Mi irritavano, le sue imperfezioni, e per un po’, quando hanno riguardato le scelte della vita che in famiglia hanno contato, le ho anche un po’ odiate. Poi ho imparato a guardarle per quello che erano: i suoi tratti, il suo modo di essere, insieme con la dolcezza e la tenerezza con cui mi ha cresciuto; me, forse ancor più che Marina o Gianni, perché ero “l’ultima ruota del carro”, il più piccolo, come ha continuato a dire anche quando ormai di anni sulle spalle ne avevo già un bel po’.


Ha vissuto una vita piena, in parte anche avventurosa. L’ho pensata a lungo come una vita troppo all’ombra di papà, poi ho capito che le sue scelte le ha comunque sempre compiute, che era molto più determinata e forte di quel che poteva apparire ai miei occhi. Non si finisce mai di conoscere le persone, neanche la propria madre.


Ha avuto alcuni rimpianti, alcuni intimi e di cui è saggio rispettarne la riservatezza, altri espressi: avrebbe ad esempio tanto voluto tornare in Africa, ripercorrere quelle strade e quei luoghi divenuti a lei familiari. Avrebbe voluto continuare a dipingere e la sua mano malferma non glielo ha più permesso. Non si capacitava del correre degli anni, aveva sempre la stessa voglia di fare e un po’ si stupiva dello spirito giovane e vitale che continuava ad accompagnarla, a dispetto dell’anagrafe.


Quando mi sono ammalato mi sono confidato con tutti e non con lei. Ho inteso proteggerla dal dolore per la mia infermità, e quando, cocciuta com’era, alla verità c’è arrivata per conto suo, me l’ha resa lieve, anche con i suoi silenzi.

Senza nominarla mai, poco tempo fa mi ha parlato della malattia, esortandomi a non mollare mai. L’ho rassicurata. Le ho raccontato di come si possa vivere pienamente nonostante la malattia, anche e soprattutto quando è il corpo ad abbandonarti, ma lo spirito è intatto, e proprio attraverso la malattia può crescere e volare libero. Lei mi ha trasmesso forza e mi piace pensare di averle restituito un pizzico di serenità.


Il mio ultimo ricordo la vede seduta su una sdraio, nel mio giardino, a tratti un po’ svanita, come ultimamente a volte le capitava, ma sorridente e felice della giornata trascorsa insieme.

Qualcuno mi ha riferito di una sua recentissima frase che dice della sua consapevolezza di essere vicina all’addio, e mi ha fatto pensare alla serenità di quegli anziani nativi americani che, almeno così ci raccontano, saprebbero riconoscere quando è arrivato il momento giusto per andarsene.


Così mi piace ricordarla, e mi piace anche pensare, pur da non credente quale sono, che qualcosa di lei, adesso, si ricongiunga, prima ancora che con papà, con cui dopotutto ha vissuto l’intera sua vita, con sua sorella Miranda, andatasene troppo presto e con la quale troppo poco, in vita, le è stato permesso condividere.

Sarebbe il modo migliore, credo, per iniziare l’ultimo viaggio.

Buon viaggio, mamma.



Mamma e papà, in Africa, anni '70


Mine vaganti...


Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare.
Sbaglia per conto tuo, sempre.

Non è nè una commedia sulla diversità, nè una passerella per giovani divi rampanti, sostenuti da vecchie colonne del palcoscenico, come invece vorrebbe far credere il pessimo trailer confezionato dalla distribuzione, tutto giocato su scene che, fuori contesto, paiono lo spot del Gay Pride, e che dunque vi risparmierò.
Il regista Ferzan Ozpetek è assai più coerente di chi si occupa di vendere i suoi film, e Mine Vaganti è fondamentalmente un'opera sulla libertà, in un'epoca in cui più la si nomina, meno si sa cosa sia.
Sulla faticosa ricerca della libertà interiore, innanzitutto, che Tommaso (uno Scamarcio finalmente cresciuto professionalmente) compie guidato dalla nonna (Ilaria Occhini), musa ispiratrice, mina vagante per eccellenza, protagonista a sua volta di una storia parallela intrigante, e ben giocata attraverso frequenti flash back.

Accanto ad un Ennio Fantaschini un po' di maniera, svetta una Lunetta Savino stupenda, affiancata da uno stuolo di comprimari di lusso.
Chiude un finale "non chiuso", incompiuto cioè, come è stato da qualcuno definito, ma che è in realtà la cornice poetica, la ciliegina su una prosa tutt'altro che irrisolta.
Il tutto sostenuto da una recitazione mai sopra le righe e da una sceneggiatura da Oscar, scritta a quattro mani con Ivan Cotroneo.

Solo ad Almodovar riescono tali sintesi di spessore e leggerezza. E scusate se è poco.




Gli amori impossibili non finiscono mai.
Sono quelli che durano per sempre.


Di che parla questo libro che non ti vogliono pubblicare?
Parla di due persone che non stanno più insieme. Una soffre, l'altra no. Però forse quello che racconta veramente è che non bisogna aver paura di lasciare.
Perchè tutto quello che conta, non ci lascia mai, anche quando non vogliamo.


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Staminali: tutto quello che si dovrebbe sapere

per sperare senza illudersi

Sulla comunità dei malati di Sla, e anche delle altre malattie neurodegenerative, internet e facebook rovesciano quotidianamente fiumi di notizie circa sensazionali scoperte che hanno tra loro un unico comun denominatore: ognuna rappresenta la chiave che aprirà la strada alla rigenerazione del tessuto nervoso, grazie alla ricerca sulle cellule staminali.
Ora, va bene che i ricercatori abbiano bisogno di farsi pubblicità, e che il web debba attirare pubblicità per fare profitti, ma così si alimenta un circuito perverso che produce illusioni e passività pericolose.
Proviamo allora a stare coi piedi per terra e a fare un po' di chiarezza.

Primo: occorrerebbe smettere di parlare genericamente di staminali, perchè non vuol dire niente, è un campo vastissimo, che comprende cellule del cordone ombelicale, del liquido amniotico, cellule embrionali, cellule derivate da tessuti fetali e da tessuti i più diversi dell’uomo adulto. Ognuna di esse ha caratteristiche e potenzialità diverse, soprattutto nella possibilità di differenziarsi in cellule mature, sarebbe come dire frutta genericamente, come se esistessero solo le mele.

Secondo: la ricerca di base, quella svolta in laboratorio, punta a scoprire i complessi meccanismi con cui cellule indifferenziate si indirizzano a diventare cellule di tessuti così vari come quelli presenti nell’organismo, con l’obiettivo di poter giungere a manipolare e governare questi stessi processi.
Da qui a possibili applicazioni verso la cura di malattie neurodegenerative esiste però un salto enorme, ben lontano dall’essere colmato. Perciò, quando si apprende di nuove scoperte in quest’ambito, si deve sapere che pensare ad applicazioni terapeutiche a breve termine è del tutto fuori luogo.

Terzo: il modello animale si presta molto bene per altre malattie, ma non per la SLA. Quasi tutto quello che funziona sul topo si rivela inefficace quando trasferito nell’uomo. Conclusione: idem come sopra.

Quarto: le sperimentazioni che vengono tentate “al letto del malato” non sono generalmente diretta conseguenza della ricerca di base, ma sono dei tentativi sulla base di ipotesi sì attendibili, ma che allo stato delle conoscenze non consentono di avere aspettative granché alte. Si tratta cioè di tentativi (trial significa appunto letteralmente tentativo) che hanno lo scopo appunto di non lasciare nulla di intentato. Il gioco di parole mi serve per far capire che il malato che si presta a far da cavia è bene sappia che non può ragionevolmente attendersi che dalla sperimentazione possa sortire l’arresto o la guarigione della malattia, ma piuttosto lievi miglioramenti (un possibile rallentamento nella progressione, ad esempio) o ulteriori indicazioni sui meccanismi della malattia stessa.

Questo bagno di realismo, apparentemente deprimente, è necessario non solo per amore di verità, ma appunto per non rischiare di illudersi (per poi consegnarsi ad una proporzionale cocente delusione) e per non abboccare all’amo dei venditori di false speranze che, come sciacalli, offrono cure inefficaci e pericolose, sfruttando la falsa immagine che dipinge le staminali come soluzione per tutti i mali.
Anche nelle sperimentazioni serie, infatti, pensare che cellule staminali che hanno scarsa capacità di differenziarsi in tessuto nervoso, possano, migrando ad esempio dal midollo osseo, sostituire e rigenerare le fibre nervose morte, oltretutto su aree estese che vanno dal cervello al midollo spinale, è, almeno ad oggi, una prospettiva irrealistica. Troppo enormi e complesse le variabili in gioco.

Conclusione: ma allora, zitti e buoni per almeno qualche altro decennio, prima di poter vedere finalmente qualche risultato concreto? No, non è così. Dobbiamo sapere che, in assoluto, le cellule che, in laboratorio, si sono dimostrate come le più differenziabili, sono le staminali embrionali (e, forse, quelle prelevate dal liquido amniotico). Ora, per questo motivo, per le sue basi razionali e scientifiche , questo è proprio il settore su cui non si dovrebbe evitare di investire. Ma la ricerca verso le staminali embrionali è invece, ad oggi, paradossalmente quella verso la quale non solo si investe di meno in assoluto, ma anche l’unica apertamente osteggiata.

Ancora un chiarimento: quando in ricerca parliamo di embrionali ci riferiamo a blastocisti (la prima forma differenziata nello stadio di sviluppo, a pochi giorni dalla fecondazione) che, essendo “in più” (sovrannumerarie) in corso di fecondazione assistita, sono destinate a nient’altro che alla conservazione perpetua tramite congelamento. La ricerca sulle cellule staminali derivate da questi embrioni è perfettamente legale e si svolge anche in Italia, ma viene di fatto bloccata da mille difficoltà, la più frequente delle quali è il veto al finanziamento nei bandi pubblici di ricerca, come successo nel 2009, ad opera di quei governi che assumono atteggiamenti integralisti sul piano religioso, compreso il nostro.
Ne è un esempio significativo la battaglia civile per la libertà di ricerca che alcune scienziate italiane hanno intrapreso ultimamente, purtroppo in splendida solitudine e nel quasi totale silenzio del mondo scientifico e dell’informazione.*

Ebbene, quello che si può fare è far crescere il livello di conoscenza e consapevolezza sul tema staminali e, proprio in virtù della complessità della sfida scientifica, attivarsi per rimuovere gli ostacoli che ne frenano le potenzialità. Le difficoltà nell’ottenere risultati e nel trasferire questi stessi risultati dalla ricerca di base alla clinica, impongono che la ricerca possa operare a tutto campo.
La comunità dei malati ha un’ottima e concreta occasione per non cedere alla rassegnazione e sostenere invece attivamente la speranza, appoggiando e sostenendo battaglie di civiltà e di legalità come questa. La pressione per ottenere investimenti pubblici, certi, costanti e mirati non va solo nella direzione di contrastare la fuga all’estero dei giovani ricercatori, ma può restituire speranze ragionevoli e concrete anche a noi, malati affetti da malattie neurodegenerative.

* Consultare il link: http://users.unimi.it/labcattaneo/pagineITIN/press/pressALLEGATI/La%20Stampa%2016%2012%2009.pdf

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