Lastanzadigreta, note e parole ai confini del sogno

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Raccontano, di sé, di essersi incontrati quasi per caso, sull’onda dello slancio solidale che portò a mettere in musica il piccolo universo che, nel web, aveva fatto da contrappunto alla storia di Greta: una giovane e bellissima ragazza finita in coma di seguito ad uno dei tanti, ormai tragicamente consueti, incidenti del sabato sera. La vicenda aveva ispirato decine di bloggers, i quali, intorno al suo improvviso silenzio, avevano preso ad intessere una fitta trama di pensieri, racconti, poesie, raccolti in un libro e divenuti poi il cuore dell’omonimo spettacolo. I versi scaturiti dalla storia di Greta, ora in stato di “minima coscienza”, si trasformarono così nel filo in cui inanellare, come perle di una collana, i brani musicali composti ad hoc.
Recentemente le strade che la band musicale e il progetto editoriale e di volontariato avevano finora percorso insieme, si sono separate, per una di quelle crisi di crescita non inevitabili, ma molto frequenti nelle vicende di questo tipo. I Gretaelanuvola tuttoattaccato sono artisti a tutto tondo, in piena evoluzione creativa e con un preciso progetto musicale in testa, non li puoi confinare in esclusiva nel porticciolo natìo, pena il vederli, prima o poi, mollare gli ormeggi per sempre.
E pensare che al primo incontro con i Gretaelanuvola, avvenuto anch’esso quasi per caso, confesso che mi aspettavo il solito gruppo di ragazzotti volenterosi e con un po’ di sana ambizione. Ne rimasi folgorato. Seppi soltanto dopo della solida preparazione musicale che ognuno di loro aveva alle spalle, alcuni diplomati al Conservatorio, tutti provvisti della giusta dose di creatività, oltre che di un discreto pantheon di maestri da cui attingere stili differenti, ma convergenti in un mix assai originale. Io non sono un critico musicale, ma ascoltandoli, così come ancora loro dicono di sé, davvero mi sembra di essere sfiorato dalle magiche atmosfere di Tom Waits e Nick Cave, di Gian Maria Testa e di quel Fabrizio che viaggiava prevalentemente in direzione ostinata e contraria.
Ora, all’alba del 2011 e a partire da Viol@ St. Gree (Cn), rilanciano, portando in giro lo spettacolo originario: della dozzina di brani che compongono l’affresco di Greta, quello omonimo, che di solito conclude la serata, mi ha sempre affascinato per la sfrontatezza con la quale lo eseguono (unita alla delicatezza con cui si può imbastire un origami) servendosi esclusivamente di non-strumenti: chitarrine giocattolo, percussioni da cucina delle bambole, bicchieri semivuoti, perfino un cubo di Rubik. Un brano lieve e ispirato, che chiude lasciandoti il desiderio di incontrarli ancora.
La voce di Marlen Pizzo, attrice diplomatasi alla scuola dello Stabile, contrappunta le sonorità con la narrazione che fa di Greta una sorta di piccola Alice. I Gretaelanuvola, salpati dalle sponde del Po a San Mauro Torinese, proseguono il loro viaggio di ricerca in bilico tra note e poesia, e non sembrano avere l’intenzione di concedersi pause.
Per chi ancora non li conosce, il piccolo Alice nel Paese delle meraviglie che li ha tenuti a battesimo è un buon modo di cominciare a frequentarli. Con il rischio che nasca un’amicizia destinata a durare nel tempo.
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Come augurare buon Natale senza farsene accorgere

Maigret&Magritte - Scuola di Teatro & Altro
Serata di improvvisazione teatrale

(sabato 18 dicembre 2010)

E' stata una serata, questa alla Casa del Quartiere di San Salvario, che mi ha reso felice.
Da un po’ di tempo vado in giro a fare diverse cose che non avevo mai fatto prima: vado in giro a parlare di questa malattia che mi ha colpito, la Sla, perché ancora se ne sa troppo poco, e poi a parlare di come se la passano male i miei nuovi compagni di viaggio.
E, poi, mi càpitano cose strane, che non facevo più da quand’ero giovane, come ad esempio trovarmi ad organizzare dei sit in davanti ai palazzi del potere, alternandoli con incontri dentro quegli stessi palazzi, per ottenere, ad esempio, che il diritto alla salute si traduca in servizi domiciliari che permettano a tutti noi di scegliere liberamente che questa sorta di second life, con la malattia, valga la pena di essere vissuta.
E poi ancora, con l’associazione, mi ritrovo a promuovere progetti, che vorrei sempre più ricchi di idee e passione, sia culturali sia di assistenza, di cui l’iniziativa di stasera è stata un bellissimo, inaspettato esempio.
Ma non era di tutto questo che volevo parlare, bensì di questa serata e del piccolo, ma importante progetto correlato.
Sono felice e commosso di aver ritrovato Stella, Emilio e quelli della Maigret&Magrìtte con cui ho condiviso alcune bellissime esperienze del mio recente, eppure, per altri versi, così lontano passato. Il lavoro di un paio d’anni alla asl di Settimo, le contaminazioni con il loro gruppo, qualche seminario fatto insieme, restano, per me, esperienze preziose e indimenticabili. La proposta di questa serata e il loro darsi disponibili per un’occasione di arte, divertimento e impegno insieme, è stato un vero regalo, di cui li ringrazio personalmente, prima che a nome dell’associazione.
Questa è diventata così la prima di alcune iniziative che serviranno ad allestire un piccolo laboratorio di ausili, da mettere a disposizione di Valentina Pasian, logopedista, e di conseguenza degli ammalati di sla. Valentina svolge un eccezionale lavoro, in collaborazione con gli ingegneri del Politecnico, testando e adattando, e personalizzando, gli ausili più diversi, dai più elementari ai più tecnologicamente avanzati.
Da qui il nome del progetto “Te lo dico con gli occhi”, che richiama il comunicatore a scansione oculare, l’unico ponte con il mondo quando la sla, all’ultimo stadio, abbia risparmiato, tra i movimenti volontari, solo più il movimento degli occhi. Per poter svolgere al meglio questo lavoro, Valentina ha la necessità di ampliare il ventaglio di strumenti a disposizione, per cui servirebbe un budget tutto sommato contenuto, di circa 5000 €, che lo stato attuale dell’Università, francamente pietoso, non consente.
Intendiamoci, io credo che la beneficenza da sola non basti, che sia benemerita solo se è integrativa, e non sostitutiva degli interventi istituzionali. Ma questo è precisamente uno dei casi in cui un intervento integrativo, di dettaglio, può fare la differenza.
Ecco dunque spiegato perché sono stato doppiamente felice e perché avrei voluto, se avessi potuto, abbracciarli uno ad uno, registi ed attori della serata. E, anche, augurare buon natale ad ognuno dei presenti.
Naturalmente, anch’io, senza farmene accorgere.

Il ricavato della serata, particolarmente generoso, è stato interamente devoluto all’ APASLA per il Progetto “Te lo dico con gli occhi”, allestimento di un Laboratorio di adattamento ausili per la quotidianità e la comunicazione aumentativa alternativa.

Per una solidarietà consapevole


Mi è stata chiesta una testimonianza, e io ho accettato volentieri, anche se per la verità non amo troppo la parola testimonianza. Il fatto è che raccontare cos’è una malattia poco conosciuta, oppure raccontare cosa succede quando ci si passa attraverso, è importante, ma ancor più importante è aiutare a comprendere cosa noi tutti come comunità possiamo fare, per permettere agli ammalati e alle famiglie di vivere in modo dignitoso, convivendo con la malattia e nonostante la malattia . La Sclerosi Laterale Amiotròfica è una malattia che arriva a toglierti quasi tutto: ti paralizza completamente, non puoi più muovere né gambe né braccia, né parlare, né mangiare, e alla fine neanche più respirare. Assisti impotente, giorno dopo giorno e più o meno rapidamente, al tuo corpo che ti abbandona, che non ti risponde più. Le uniche cose che di solito lascia intatti sono i movimenti degli occhi e la mente, che resta completamente lucida.
Quando si riceve una diagnosi come questa ci si trova di fronte, prima o poi, ad un bivio e si deve scegliere: decidere che quella non è più vita, rifiutare l’intervento per passare alla respirazione artificiale e lasciarsi morire, oppure decidere di continuare a vivere. Non c’è alternativa e la differenza, a quel punto, la fanno alcuni aspetti molto intimi, come il proprio attaccamento alla vita, l’amore dei propri cari, l’affetto degli amici, ma anche le condizioni materiali che possono rendere sopportabile l’idea di affrontare un’esperienza come questa: mi riferisco alla possibilità di avere tutti i supporti sociali e sanitari che sono indispensabili e che invece mancano. Infatti oggi, nella quasi totale assenza di servizi domiciliari, tutto il peso dell’assistenza, giorno e notte, grava interamente sulla famiglia. Mogli, mariti, figli, sono costretti a lasciare il lavoro, a non uscire più di casa, a non sapere come affrontare le spese, a doversi accollare anche la responsabilità di manovre infermieristiche che salvano la vita nei momenti di crisi.

Quello che pochi sanno è che oggi, nel nostro paese, 8 malati di Sla su 10 decidono di lasciarsi morire. Proprio così: delle 1500 persone che ogni anno si ammalano, ben 1000-1200 si lasceranno morire senza passare alla ventilazione artificiale. E proprio l’abbandono da parte delle istituzioni è la prima causa di questa eutanasia silenziosa: accanto alla prospettiva di una malattia catastrofica, vedere i propri cari consumarsi accanto a sé, schiacciati da un carico assistenziale 24 ore su 24, spinge molti, già travolti dalla diagnosi, alla rinuncia.
E poi altri ancora, una minoranza, ma non per questo meno degna di attenzione, rinunciano sapendo che, una volta fatta, la scelta non ò più revocabile. Perché infatti prima si ha il diritto di rifiutare il passaggio alla respirazione artificiale, ma poi, una volta avviata, questa, così come l’alimentazione e l’idratazione forzate, non potrà mai più essere sospesa. L’assenza di una legge sul fine vita, che rispetti l’autodeterminazione della persona è l’altro problema terribile che si presenta a chi si ammala di Sla.

Conoscere e comprendere questi aspetti è importante, perché l’indifferenza che la società riserva, attraverso le sue istituzioni, alle difficoltà dei soggetti più deboli, è causa di sofferenze che vanno ben oltre quelle già terribili della malattia. E quindi è importante che la solidarietà dei cittadini si possa esprimere con forme diverse e più consapevoli che vadano oltre la pura beneficenza, che è benemerita se è integrativa, e non sostitutiva. La beneficenza da sola non basta. E alla lunga è anche poco rispettosa della dignità delle persone, perché la pari dignità richiede che venga rispettato un diritto, quello alla salute, e non che si venga trattati come dei bisognosi a cui rivolgere aiuti caritatevoli. Lo stesso va detto, purtroppo, anche per quanto riguarda la ricerca, che va troppo a rilento: quest’anno sono già almeno quattro le sperimentazioni “al letto del malato” che avrebbero dovuto partire, e che sono invece ferme, e ciò non solo per la cronica insufficienza di fondi, ma anche a causa della scarsa trasparenza dei criteri di finanziamento, che non sempre sembrano premiare l’effettiva qualità dei progetti.
Ecco, è per tutti questi motivi che, malati e familiari, siamo scesi a Roma, esattamente un mese fa, per avviare un presidio permanente che mettesse all’ordine del giorno l’approvazione di misure di sostegno concrete, a cominciare dalla possibilità di poter contare sull’apporto di assistenti familiari esperti, addestrati e qualificati con appositi corsi di formazione. E da questa mattina, a Cagliari, i malati sardi, anche con lettighe e respiratori, sono costretti a fare lo stesso, per ottenere quello che la commissione regionale ha discusso e approvato già un anno fa e da un anno è chiuso in un cassetto.
Sappiamo bene che i 5000 malati di Sla sono solo una parte delle persone non-autosufficienti in Italia, l’Associazione Greta e la nuvola si occupa di traumi cranici e sappiamo che ogni anno sono circa 9mila gli italiani colpiti da lesioni cerebrali provocate da trauma cranico. Di queste, più di mille portano allo stato vegetativo. Ed è importante capire che gli esiti finali di condizioni o malattie molto diverse fra loro, presentano poi problemi e bisogni molto simili, a cominciare dalla necessità di essere, il più possibile, seguiti a casa, limitando al minimo indispensabile i ricoveri in ospedale o in istituto. Far crescere la cultura, e di conseguenza anche la realizzazione concreta, di servizi domiciliari adeguati è, ne sono convinto, la più urgente battaglia per la vita per cui oggi valga la pena di impegnarsi. Di questo dovremmo essere, tutti, un po’ più consapevoli.

(16.12.2010 - intervento alla serata sui traumatiismi cranio-encefalici promossa dall'Associazione Greta e la nuvola)


Due o tre cose che so di lei


Venti mesi sono trascorsi da quando mi sono ammalato. Un lasso di tempo breve, eppure è il tempo di un’altra vita.
E ora so.

So cos’è questa malattia e so che, nei casi come il mio, uccide in fretta.
So che, dopo aver perso l’uso di gambe e braccia e mani, sto perdendo la voce, per sempre.
Ora so che tra un po’, non molto, dovrò farmi fare un buco in pancia per mangiare e uno in gola per respirare e per non morire.

So che Enzo se n’è andato dopo 12 giorni di agonia, durante i quali ha inutilmente implorato gli venisse risparmiata quella tortura. Anni prima aveva liberamente accettato la ventilazione artificiale; ora che avrebbe voluto rimuoverla, la legge gliel’ha impedito.
So che il consenso informato è un vicolo cieco. La libertà di scelta, in questo paese, è sempre libertà provvisoria.
Ora so che, quando sarà il mio turno, dovrò arrangiarmi oppure farne anch’io un caso nazionale. Per vedere rispettata la propria volontà senza combattere, si è costretti a emigrare.

So che se ti ammali e conservi, o ti scopri, uno spirito imprenditoriale, di regola fai una Fondazione e subito dopo sfrutti anche tu la magica parola: ricerca. Che, magicamente, ti apre tutti i portafogli.
Ora so che I fondi per la ricerca fanno bene a tutti, fan bene a chi li dona, fan bene a chi li raccoglie, ma, soprattutto, fan bene a chi li gestisce.

So che la malattia ti spinge a farti uguale a lei, a diventare, nel migliore dei casi, un caso umano, da ammirare o compatire.
So che vorrebbero che tu combattessi il male, così da esorcizzarlo per procura.
So che se invece vuoi combattere ipocrisia ed ignoranza, te la faranno pagare.

Ora so che c’è chi celebra la mistica della sofferenza e dice che la malattia è un valore aggiunto.

Io, più laicamente, mi accontento di vivere questa mia nuova esperienza con dignità.

(11.12.2010)

Anche la Sla al tea-party di Rai uno


Domenica 28 novembre 2010

Mario Melazzini ha partecipato questa mattina ad una trasmissione su Rai uno espressamente commissionata dalla parte politica cattolico integralista per rispondere a Fazio, Mina Welby e Beppino Englaro. Una trasmissione che ha contrapposto supposti fautori della vita a supposti fautori della morte. Quello che è intollerabile, per questi signori, è che per una volta si sia data voce ai deboli e i sofferenti allorquando, attraverso la propria storia personale, giungano a considerare la propria vita non più degna di essere vissuta. Quello che è insopportabile è che si dia spazio anche a queste voci, tentando finalmente di infrangere un tabù da sempre oggetto di censura.

Il Dr. Melazzini si è detto offeso da quella trasmissione, imputandola a “non conoscenza e mancanza di ascolto”, e con ciò delegittimando chi, sulla propria pelle, vive una diversa realtà e matura convinzioni differenti. Anch’io, medico e ammalato di Sla, potrei dire di essermi sentito altrettanto offeso dalle mistificazioni che ho udito pronunciare stamattina dalla tribuna di Rai uno. In quasi due anni di malattia ho conosciuto l’intero universo dei malati, che non posso pensare sia sconosciuto al Presidente della principale Associazione che si occupa di Sla : sia la piccola parte dei malati che ha scelto di non lasciarsi morire, praticando la tracheotomia e la ventilazione artificiale, sia la stragrande maggioranza, quelli che l’intervento lo rifiutano principalmente perché costretti, dall’assenza dello Stato, a vivere in stato di abbandono, come giustamente ha sottolineato Melazzini, ma anche una terza parte, quelli indotti a quella scelta dalla consapevolezza di non poter più tornare indietro, espropriati come saranno del diritto di scelta, consapevoli che il consenso informato ad atti medici invasivi vale una volta sola. Parlare di capacità di ascolto e ignorare il diritto all’autodeterminazione significa contrapporre malati ad altri malati: non a caso si è parlato del malato come “portatore di bisogno”, da assistere paternalisticamente fino al punto di decidere al posto suo, mentre io parlo del malato come persona, in quanto tale “portatore di diritti”. E il diritto a ricevere cure adeguate non può essere disgiunto da quello alla libertà di scelta.

Nel pomeriggio, poi, è andata in onda la seconda puntata, questa volta a "Domenica in" dove, zittito uno spaesato Ignazio Marino, una allegra compagnia di crociati catodici (oltre a Melazzini, il movimento pro-vita, l’Avvenire, la senatrice Roccella e il filosofo pret-a-porter Stefano Zecchi) hanno chiuso il cerchio parlando di rifiuto delle cure, suicidio ed eutanasia come fossero la stessa cosa. Non c’è che dire: un limpido esercizio di onestà intellettuale.
Se volevano convincermi che tra laicità dello stato e fondamentalismo cattolico ci sono temi che non possono essere oggetto di trattativa, ci sono pienamente riusciti.

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Una grande, prima vittoria

Un assegno mensile ad ogni malato Sla per l'assunzione di un assistente familiare

Roma, mercoledì 18 novembre ore 17.00
Mi sintonizzo con la diretta tv dalla Camera mentre la seduta è sospesa. Non ci posso credere, ma si sta rischiando la crisi di governo per i malati di Sla.
Succede che il relatore del Pdl ha portato in discussione l'emendamento annunciato, ancora senza alcuna previsione di spesa e Fini dice che senza i famosi 100 milioni Futuro e libertà vota contro. Fini stesso sospende la seduta e litigano per un'ora e mezza, prima di mettere nero su bianco la cifra tonda. Si torna in aula e finalmente il provvedimento viene approvato.
E' stata tolta la finalità ambigua della "promozione" dell'assistenza, frase che significava regalie a chi non c'entra nulla, mentre restano le due voci su assistenza e ricerca. Bene, il primo passo è fatto: ora dobbiamo lavorare perchè l'aiuto a chi ha la Sla arrivi davvero: il 10% alla ricerca (i 10 milioni richiesti) e il 90% alle famiglie per l’assunzione per un anno di un assistente familiare.
Ci batteremo perchè ogni Regione istituisca i registri degli assistenti familiari formati e perchè attivi, in analogia con quanto si è avviato nel Lazio, i corsi di formazione.
E' un'altra battaglia durissima, ma oggi è accaduto qualcosa di assolutamente nuovo e straordinario. Davide ha sconfitto Golia.
Ed Emanuele scrive, per il neonato Comitato 16 novembre, il primo comunicato stampa:

FINANZIARIA: STANZIATI 100 MILIONI PER MALATI DI SLA E FAMILIARI Soddisfazione del Comitato 16 novembre nato dopo il presidio di martedì a Roma

In data odierna la Camera ha approvato l'emendamento alla Legge di stabilità che destina 100 milioni di euro finalizzati alla ricerca e all'assunzione di assistenti familiari, secondo l'impegno preso martedì 16 novembre con la delegazione dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla). In media si tratterebbe di un contributo di circa 20mila euro all’anno a famiglia. «Esprimiamo soddisfazione per una misura che, quando confermata dal Senato, rappresenterà il primo atto concreto di attenzione verso i malati di Sla e i loro familiari, da sempre ignorati in qualsiasi provvedimento in favore delle ‘fasce deboli’ - questo il commento a caldo di Alberto Damilano, medico e malato di Sla promotore insieme a Salvatore Usala della manifestazione di martedì 16 novembre davanti al Ministero delle Finanze -. E' una grande, prima vittoria. Ciò detto, invitiamo tutti coloro che si stanno mobilitando con noi, affinché si tenga alta la vigilanza e si mettano in atto tutte le forme di pressione possibili perché l'intera cifra venga destinata a ciò per cui è stata richiesta: la copertura necessaria per l'assunzione di un assistente familiare per ogni malato di Sla».
«Sono molto soddisfatto perché è da un anno combatto per un provvedimento serio mentre c’è chi sta a perdere tempo dietro consulte e commissioni - precisa il cagliaritano Salvatore Usala -. Ora dobbiamo vigilare con quattro occhi rivolti ai cercatori di poltrone che vorranno vanificare cento milioni a loro uso e consumo».
«Sappiamo che i tentativi per vanificare questo esito non mancheranno e che da domani su questo fondo si scatenerà l'assalto alla diligenza - concludono Damilano e Usala -. È ora che i malati di Sla inizino a ricevere concretamente gli aiuti per l'assistenza domiciliare che si sono, fin qui, visti puntualmente negare».

Il Comitato 16 novembre

(7. fine)
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Nasce il COMITATO 16 NOVEMBRE


Roma, mercoledì 17 novembre ore 14.30
Malati e familiari si riuniscono in assemblea e, insieme a chi non ha potuto esserci ma è collegato via internet, si costituiscono in Comitato 16/11.
Il Comitato è una rete informale di persone, malati di Sla, familiari e amici, che si riconoscono nella lettera aperta inviata al governo da Salvatore Usala e Alberto Damilano, considerano questa data un momento fondativo per la battaglia concreta dei malati in difesa della propria dignità e si impegnano a proseguire senza interruzioni il Presidio avviato, sostanziandolo con azioni positive che non daranno tregua alle Istituzioni inadempienti nei confronti del diritto alla salute scritto nella Costituzione.
I primi aderenti sono:
Salvatore Usala, Giuseppina Vincentelli, Alberto Damilano, Francesca Giordani, Laura Flamini, Nadia Narduzzi, Paola Ecoretti, Mariangela Lamanna, Marina Mercurio, Emanuele Franzoso, Raffaele Pennacchio, Gianni Benedetti, Giuseppe Di Criscienzo, Raffaella Giavelli, Stefano Marangone, Anna Cecalupo, Paola Benetti, Patrizia Cecchini, Maria Rosaria Passaro, Luca Pulino, Sara Ursella, Leo Bartolini, Claudio Daoglio, Lapo Simonetti, Giusi Lamanna, Rosa Cristaldi.

per aderire è sufficiente scrivere a comitato16novembre@gmail.com
Sito: http://comitato16novembre.blogspot.com/

(6. continua)
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L'attesa


Roma, martedì 16 novembre ore 17.00
Si torna in albergo e inizia un'attesa snervante. Non esce alcun comunicato. Santo cielo, e quanto ci vuole a scrivere quattro righe? Poi fiinalmente compare, pubblicato sul sito del Ministero, e sono davvero quattro righe in croce. Ma il problema vero è un altro: è troppo generico, non viene quantificata la cifra. La mia prima reazione, istintiva, è che ce stanno a fregà, direbbero qua.
Cerco Tore, ma Josy non risponde. Cerco di portarmi avanti col lavoro, Emanuele, che fa da ufficio stampa, insiste che non c'è tempo da perdere, che se non si manda un comunicato all'Ansa si "bucano" i tg della sera. Comincio a scrivere che la risposta la consideriamo insufficiente, quando, finalmente, i cellulari cominciano a squillare. Discutiamo animatamente, poi mi convinco: tornare in piazza domani esporrebbe i malati ad un braccio di ferro interminabile, non scriveranno una riga in più fino alla presentazione dell'emendamento. Ma il pallino l'abbiamo noi: senza una cifra siamo paradossalmente più forti, perchè questo ci permette di tenere il punto, o una cifra da noi valutata degna oppure se li tengano, elemosine non ne vogliamo.
Sento grave il peso della responsabilità nei confronti di tutti. D'altra parte a breve si giocherà a carte scoperte, tempo un giorno o due.
Così concordiamo il testo che sospende il presidio.

Alberto Damilano, Salvatore Usala, firmatari della lettera inviata a Tremonti, Fazio e Sacconi e promotori del presidio di Roma di martedì 16 novembre dichiarano insieme a Mauro Pichezzi, presidente di Viva la Vita onlus che: "A seguito dell'incontro di oggi in delegazione presso il Ministero delle finanze abbiamo esaminato il comunicato stampa ufficiale numero 186 pubblicato sul sito ministeriale. Valutiamo positivamente l'impegno preso circa la presentazione di un emendamento alla Finanziaria in discussione alla Camera con uno stanziamento congruo a favore di malati e famiglie perché vengano sollevati da subito dal grave peso assistenziale che sono costretti a sopportare quotidianamente.
Richiamiamo che, in coerenza con quanto richiesto e discusso in sede di riunione con il rappresentante del Ministero la quantificazione dell'impegno finanziario dovrà essere non inferiore a 100 milioni di euro. I malati attendono fiduciosi che venga rispettata la parola data, rendono altresì noto che vigileranno costantemente affinché alle parole seguano i fatti.
In caso di mancato provvedimento, oppure di quantificazione insufficiente tale da qualificare l'intervento come un'elemosina nei confronti dei malati, il rispetto della dignità degli stessi ci costringerà a riprendere immediatamente il presidio permanente che s'intende perciò momentaneamente sospeso.

(5. continua)
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La trattativa


Roma, martedì 16 novembre ore 15.00
Dopo 5 ore trascorse in piazza, di cui le prime due sotto la pioggia, saliamo in tre nelle stanze del plumbeo Ministero dell'Economia: Salvatore Usala, Mauro Pichezzi ed io. Si intavola la ttrattativa, che procede spedita. Il Ministero si dice disponibile, ovviamente purchè il Governo non metta la fiducia, a presentare un emendamento alla Finanziaria. Loro dicono che non possono sbilanciarsi sulla cifra, noi ribadiamo che servono 100 milioni e che non accetteremo elemosine. Loro dicono che non possono promettere di più, noi pretendiamo un impegno nero su bianco, in caso contrario domattina saremo di nuovo qua sotto con le lettighe. Prendono tempo, si consultano, poi ci dicono che prenderanno un impegno pubblico.
Come ho scritto sul Forum dei malati:
Si tratta di una svolta. Per la prima volta abbiamo avviato una mobilitazione PERMANENTE, di cui il presidio sotto il ministero è solo un momento. Il presidio permanente si sostanzia nella battaglia che stiamo conducendo. Per la prima volta abbiamo aperto una possibilità concreta, e questo è solo l’inizio. Per la prima volta due malati si sono esposti con nome e cognome senza bandiere o sigle, alle generiche promesse abbiamo contrapposto la richiesta di un IMPEGNO SCRITTO. Per la prima volta anziché un obiettivo altisonante e irraggiungibile, nel corso della trattativa ci siano concentrati su un PRIMO OBIETTIVO MOLTO CONCRETO E IMMEDIATAMENTE VERIFICABILE.
Non hanno scritto 100 milioni? L’abbiamo detto noi e lo ripetiamo pubblicamente: non si accettano elemosine. Dopo l’impegno pubblico se pensano di elargire carità si sputtanano. Se mettono la fiducia sulla finanziaria e cade il governo, ripresenteremo la richiesta, pari pari, a quello successivo. Dopo quattro anni di parole questa volta si fa sul serio.

(4. continua)
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Perchè siamo qui



Roma, martedì 16 novembre, ore 13.000
Questo è quello che ho dichiarato prima di salire dal delegato di Tremonti:

Vorrei esprimere quello che penso sia il significato più vero del nostro essere oggi, qui a Roma. Io sono convinto che quel che accomuna noi tutti, malati e familiari qui convenuti, sia non solo la volontà di richiedere, con serena determinazione, l'approvazione di provvedimenti essenziali per la civiltà di un paese, provvedimenti attesi, promessi e rinviati ormai da troppi anni. Quel che ci accomuna è, soprattutto, la scelta di prendere in mano il nostro destino, di essere noi i protagonisti di questo movimento civile ed umano, senza deleghe in bianco a chicchessia.
C'è un fatto nuovo che va compreso: i malati di Sla non si sentono rappresentati da tutti coloro che troppo spesso, in questi anni, tra noi e fuori del nostro perimetro, si sono proclamati, di volta in volta, voce dei malati di Sla o, addirittura, Presidio al posto nostro. A tutti costoro diciamo: grazie, ma questa volta potete astenervi, questa volta facciamo da soli. Ma sappiamo in realtà di non essere affatto soli: le condizioni di vita che denunciamo, la mancanza di un livello minimo di assistenza domiciliare garantito per tutti, riguarda tante gravi malattie, altamente invalidanti e tutti i non autosufficienti, vale a dire milioni di persone nel nostro paese.
Forse nessuno meglio di noi malati di Sla può capire cosa significhi un bisogno assistenziale continuo che, giorno e notte, 24 ore su 24, grava interamente sulla famiglia. Mogli, mariti, genitori e figli, a seconda dei casi, sono costretti a lasciare il lavoro, a non uscire più di casa, a non sapere come affrontare le spese, a doversi, addirittura, accollare la responsabilità di manovre che salvano la vita nei momenti di crisi.
Per me che vi parlo, essendo passato, quasi da un giorno all'altro, dal curare gli altri al ritrovarmi ad aver bisogno di tutto per svolgere le attività quotidiane, per me che, giorno dopo giorno, sto progressivamente e rapidamente imparando quello che deve affrontare un malato in fase avanzata di Sclerosi Laterale Amiotròfica, tutto questo appare drammaticamente vero e drammaticamente distante dall'essere conosciuto e affrontato adeguatamente. Un malato di Sla è posto costantemente di fronte ad un bivio: decidere che questa non è più vita, rifiutare l’intervento per passare alla respirazione artificiale e lasciarsi morire, oppure decidere di continuare a vivere. Una volta che siano assicurati il proprio attaccamento alla vita, l’amore dei propri cari, l’affetto degli amici, la differenza la possono fare solo quelle misure che possono evitare ad ogni malato di vedere i propri familiari consumarsi agli arresti domiciliari insieme a loro.
E la realtà è che oggi, nel nostro paese, più di 8 malati su 10 decidono di lasciarsi morire. Noi vogliamo semplicemente che venga posta la parola fine a questa che è una vera e propria eutanasia silenziosa. Siamo qui, oggi, esattamente per questo, lo saremo anche domani, fino a che non avremo risposte concrete.
Non ci arrenderemo.

(3. continua)
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Cronaca di un diario mancato


(giovedì 18 novembre)
Avevo immaginato un "soggiorno" a Roma lungo e difficile. Tra noi si parlava di notti da passare in tenda a turno per proteggere un presidio non autorizzato.
Tutto è invece stato così tumultuoso e imprevedibile che il pc ha potuto essere utilizzato solo per mail, contatti volanti, comunicati ufficiali. Per fermarsi a raccontare ci sarebbero voluti ben altri tempi e ritmi, la realtà di quello che è successo ha travolto anche i buoni propositi di dedicare ogni sera un piccolo spazio che potesse comunicare, a chi non c'era, il clima, oltre che la cronaca, di quegli avvenimenti.
A cose fatte, dopo l'approvazione dell'emendamento, per recuperare il tempo perduto, missione impossibile, non mi resta che affidare a "pezzi di memoria" il mea culpa per il diario mancato.

(2. continua)
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In partenza per Roma

Diario dal Presidio dei malati di Sla

(domenica 14)
Sto per partire. Lo faccio con un misto di inquietudine ed entusiasmo.
Sono inquieto, perchè l'impresa che ci siamo prefissi è di quelle da far tremare le vene ai polsi e di fronte a noi abbiamo il muro di gomma rigido, verticale e altissimo delle burocrazie ministeriali e l'indifferenza della cattiva politica. E noi siamo terribilmente fragili. Anzi, fisicamente siamo debilitati come peggio non potremmo.
Sono carico di entusiasmo, perché sento tra di noi la determinazione serena di chi sa di essere nel giusto e so che abbiamo lavorato bene.
Martedì li riincontrerò, questi miei "compagni di viaggio", compagni di strada di cui nulla sapevo fino a solo un anno fa.
E mi sentirò a casa.

(1. continua)
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NON SI RISPARMIA SULLA DIGNITÀ: UN PRESIDIO PER LA VITA


I malati di SLA e le loro famiglie sono stanchi di promesse: prima hanno assistito alla interminabile revisione dei "nuovi" Livelli Essenziali di Assistenza, ritirati oltre due anni fa dall’attuale governo, poi ai continui rinvii, mentre la pratica è ormai ferma, da mesi, sul tavolo del Ministro dell’Economia.
Hanno seguito per anni i lavori delle Commissioni, ultima in ordine di tempo la Consulta delle Malattie Neuromuscolari che, nominata dal Ministro Fazio, ha prodotto documenti regolarmente accantonati.
Sono scesi in piazza, il 21 giugno, e sono stati frettolosamente congedati dal Sottosegretario Letta, ertosi allora a Presidio in favore dei disabili e garante di una pronta approvazione dei LEA.
In ultimo, hanno visto cadere nel vuoto un ordine del giorno presentato dall’Onorevole Maria Antonietta Farina Coscioni, approvato dal Governo, che impegnava il Governo stesso ad emanare, entro il 30 settembre 2010, il DPCM sui LEA, termine da considerarsi perentorio, salvo che il Ministro Tremonti fosse intervenuto in Aula a riferire sulla mancata emanazione, chiarendone il motivo.
Anche se indignati, stanchi, delusi e molti addirittura alla disperazione, non hanno perso la voglia di lottare e comunicano di aver deciso quanto segue:

Il giorno 16 novembre 2010 dalle ore 10,30 noi, malati in carrozzina, anche con tracheostomia e PEG, saremo davanti al Ministero dell'Economia per farci carico di un PRESIDIO PERMANENTE sino a che il Ministro Tremonti non ci darà risposte esaustive. Prendiamo l’iniziativa, per noi e per i milioni di malati gravi, invalidi e non autosufficienti, che non possono più aspettare che sia rispettato il diritto alla salute e ad una vita dignitosa, sancito dalla Costituzione.

Consideriamo urgenti e prioritarie le seguenti misure:
  1. Copertura finanziaria ed approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e relativo nomenclatore tariffario degli ausili.
  2. Finanziamento di 100 milioni di euro per il percorso assistenziale proposto dalla Consulta Ministeriale delle malattie neuromuscolari, tale finanziamento dovrà essere riservato al sostegno alle famiglie per la formazione e l’assunzione di Assistenti Familiari. Le Regioni dovranno contribuire con una pari quota.
  3. Finanziamento di 10 milioni di euro per ricerca di base e clinica da effettuarsi in 10 centri universitari italiani con metodologie ed obiettivi condivisi e sinergici.
Tutte le persone non autosufficienti e tutti coloro che sono affetti da gravi malattie altamente invalidanti attendono provvedimenti concreti e si augurano che il Ministro Tremonti decida subito che la vita delle persone è più importante di tante spese che possono aspettare, come ad esempio i miliardi previsti per gli aerei da combattimento F35, che sono uno schiaffo all'intelligenza umana ed alla vita stessa.




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Quando a 54 anni ti colpisce la Sla...

Intervista sulla vita oltre la malattia

Riporto ampi stralci della lunga intervista che mi è stata fatta dal giornale locale della città dove sono nato, per lo stesso motivo per cui l'ho rilasciata: la speranza che possa essere di aiuto a chi si trova ad affrontare la stessa esperienza. Se volete commentare, fatelo con le vostre personali riflessioni sul tema. Contrariamente a quel potrebbe sembrare, ho ancora molto da imparare.

Come medico, hai sempre operato nel campo delle malattie mentali e delle tossicodipendenze, vero?
Sì; il giorno prima dell’Esame di Stato ho iniziato il Servizio civile al Centro di Salute mentale e al Sert di Fossano. Quella è stata la prima esperienza formativa e mi ha insegnato moltissimo, perché è stato il primo contatto con la malattia mentale. Partivo al mattino con il pulmino, caricavo una dozzina di utenti e li portavo al Centro, il pomeriggio mi occupavo del Sert. È stata una bella palestra. Finita l’obiezione di coscienza ci ho lavorato ancora circa un anno. A quel punto ho pensato però che nella grande città avrei potuto confrontarmi con realtà più impegnative, di maggior spessore. Così, rispetto al discorso delle tossicodipendenze, sono finito al Gruppo Abele, dove ho conosciuto mia moglie e l’ho “portata via” (si occupava dell’area lavoro e all’epoca era presidente della cooperativa costituita all’interno del Gruppo). Don Ciotti mi propose di fermarmi un paio d’anni e quella fu un’esperienza importante. Poi mi sono stabilito nel Torinese. Nell’86 io e Francesca ci siamo sposati e l’anno dopo ho vinto il concorso all’Asl. Quattro anni dopo nasceva nostra figlia Micol.

Tu adesso sei vicino alla pensione?
No, io sono “giovane” (ride); sono del ‘55. Non ci pensavo alla pensione, perché mi è sempre piaciuto molto il lavoro che faccio e poi perché ho avuto la fortuna di trovarmi bene con i colleghi. In questi venti-venticinque anni abbiamo cercato di inventare continuamente esperienze nuove, progetti, esplorare campi non ancora battuti e questo, dal punto di vista della gratificazione personale, è importante. E poi perché ho un sacco di idee e quindi, sicuramente, non pensavo alla pensione.

La malattia però ti ha messo di fronte a questa scelta.
Certo. La malattia mi ha obbligato a chiudere con tutto questo. Perché ovviamente ti vengono meno tutti gli stimoli e gli interessi che avevi fino al giorno prima e sei costretto a misurarti con una realtà completamente nuova, che ti richiede di adattarti e di scoprire nuove motivazioni perché altrimenti non hai più futuro. Se pensi di andare avanti con la vita di prima, rischi la depressione. Devi per forza progettare la tua esperienza “oltre”.

Quando sono comparsi i primi sintomi della malattia?
Il tutto è cominciato alla fine del febbraio dello scorso anno.

Veloce.
Velocissimo. Ero in giardino. Faccio per saltare un muretto e mi sento impacciato. Mi dico: “Devo proprio riprendere a fare movimento”. Mi metto una tuta e vado a correre. Ma nel giro di 15 giorni mi accorgo che non è soltanto mancanza di forma e di movimento. Comincio a sentire debolezza nelle gambe, a zoppicare. Da Natale avevo anche mal di schiena; un fisiatra mi trova un’ernia lombare (questo è uno dei casi più frequenti di errore diagnostico); faccio infiltrazioni, ma il rimedio non funziona. Zoppico; comincio a non correre più...

Quando hai cominciato a pensare a qualcosa di serio?
Fin da subito, ma il primo a mettermi in guardia è stato un chiropratico, che mi ha consigliato di rivolgermi ad un neurochirurgo: secondo lui era da escludere un problema di tipo meccanico. Faccio quindi la priva visita neurologica e nel giro di cinque giorni ho praticamente la diagnosi. Eravamo ai primi di giugno. Vengo inviato al Centro Sla delle Molinette. Purtroppo per la Sla non esistono indicatori oggettivi della malattia: la diagnosi si fa praticamente per esclusione e seguendone l’evoluzione. Si esclude che ci sia un problema di tipo meccanico, si esclude la sclerosi multipla, lesioni evidenziabili, si esclude che ci siano infezioni... La conferma si avrà poi col tempo. La diagnosi media avviene infatti a un anno e mezzo dalla comparsa dei primi sintomi. Il fatto che io abbia saputo - con sufficiente consapevolezza - nel giro di tre-quattro mesi, che poteva trattarsi di una malattia degenerativa, è una eccezione.
Purtroppo, nel corso di questi mesi, è successo un fatto che mi ha fortemente illuso. Nell’estate, dopo un esame sierologico che si fa per escludere eventuali infezioni, è emersa la positività ad un batterio che si trasmette con la puntura delle zecche. Sono quindi stato trattato con una forte dose di antibiotici in vena. Il fatto è che questi antibiotici, in una prima somministrazione, possono avere un effetto benefico transitorio a prescindere da un’infezione. Io ai primi di settembre camminavo di nuovo. Mi sono illuso.

Eri avvertito di questo?
No. Oltretutto, avendo questa positività, ho davvero pensato di essermi preso un’infezione dalle zecche facendo giardinaggio... Ho pensato che magari non avrei recuperato al 100 per cento, ma ho cominciato a convincermi che non si trattasse di una malattia degenerativa. Dopo un mese è tornato tutto come prima...

La diagnosi definitiva, dunque, è venuta dopo l’illusione che si trattasse di un’infezione.
Sì, verso ottobre. Ho detto al neurologo: “Secondo me è Sla, sciogliamo la riserva”. Certificare questa situazione per me voleva dire cominciare a metter mano alla mia vita, oltre che a una serie di cose pratiche: chiedere la visita di invalidità, ragionare del mio lavoro, della pensione, ecc... Il neurologo ha quindi deciso di mettere da parte le eccessive prudenze e ha certificato la malattia. Mi hanno avvertito di non pensare immediatamente in modo tragico, catastrofico, perché ogni caso è a sé; soltanto il tempo potrà dire qual è l’evoluzione. Cercano di farti capire che la vita non finisce lì, che non si tratta di un tumore... Del resto è proprio così. Ci sono persone che, dopo dieci anni, parlano ancora, non hanno ancora fatto la tracheotomia, viaggiano in carrozzella, sono attivi.

Il tuo caso come si pone?
La mia è una forma classica di sclerosi laterale amiotrofica, di quelle che portano a morire per insufficienza respiratoria nell’arco di due-tre anni dall’esordio. Salvo che tu decida, un po’ prima della prima crisi respiratoria, di fare la tracheotomia, di mettere il tubo e farti praticare la ventilazione artificiale. A quel punto, salvo complicazioni, in teoria la tua sopravvivenza è garantita sine die.

Quando si deve prendere la decisione relativa alla tracheotomia?
Dipende da come vanno le cose. Nel mio caso la malattia è partita dalle gambe nel febbraio 2009 (per altri comincia dalle braccia; per le donne, in particolare, spesso parte dalla parola); a novembre ho cominciato a spostarmi in carrozzella. In sei-sette mesi ho perso dunque l’uso delle gambe. A gennaio ho cominciato ad avere problemi a scrivere e a giugno-luglio mi si sono bloccate le mani.

Dunque tu non puoi scrivere al computer?
Uso la tastiera virtuale; muovo il mouse con la mano destra e clicco con la sinistra. Da febbraio, marzo ho avuto un calo di voce e poi difficoltà a pronunciare alcune lettere. Credo che a fine anno avrò forti difficoltà a comunicare e, per uno come me, che ama tanto parlare, è terribile.

Lo immagino.
Se l’andamento è di questo tipo, il passo successivo è la difficoltà ad alimentarsi. Per cui a quel punto, per evitare di andare sotto peso o di avere polmoniti da ingestione di alimenti, tocca fare la Peg, cioè inserire, tramite un intervento, un tubicino che consente di raggiungere direttamente lo stomaco. Quasi contemporaneamente - o prima, o dopo - se si indeboliscono e poi si bloccano i muscoli respiratori, si cominciano ad avere difficoltà respiratorie. Il primo passo è la ventilazione notturna, perché dormendo si può andare in ipossia, per cui si comincia con una ventilazione esterna (le maschere), prima di mettere il tubo. Il problema è che una crisi respiratoria grave può insorgere anche senza grandi segni premonitori, per cui conviene anticipare questa scelta.

Tu hai già preso una decisione?
Sì; io ho iniziato da tempo a pensarci. Il mio percorso è stato molto difficile. Nell’estate, sia prima che dopo l’illusione di poter curare l’infezione e guarire, ho pensato al suicidio... Perché la prospettiva di vita in un letto, immobile, con la possibilità di comunicare soltanto con gli occhi, magari assistito da badanti e infermiere, mi aveva fatto dire: “No, quella non è vita. La faccio finita prima, con l’aiuto di qualche amico collega”. Poi, una volta avuta la conferma della malattia, mi sono preso tempo per riflettere. Un approfondimento che è durato un paio di mesi. Mi sono detto: “Datti tempo”. Io sono sempre stato un carattere abbastanza impulsivo; faccio fatica a fermarmi per assumere decisioni consapevoli e meditate. L’impulso maggiore a decidere è venuto da Francesca, che mi ha detto: “Io ci sono; qualsiasi decisione tu prenda io ci sono”. Non è una cosa così comune. Molti malati sono rimasti soli perché chi gli era accanto non se l’è sentita di intraprendere un percorso così difficile. Ho capito che per lei sarebbe stato molto più duro immaginare che io rinunciassi a vivere, rifiutando l’intervento di tracheotomia. Inoltre Francesca mi ha consentito di uscire da un vicolo cieco che si presenta a chiunque abbia di fronte la prospettiva di una grave invalidità, e si trovi a dover scegliere tra vivere o morire. E cioè il fatto che man mano che l’invalidità avanza non ci si sente più persona, cioè non ci si identifica più con la propria storia, con quel che si è. Interviene un problema enorme di identità. Non sai più chi sei. Nel momento in cui diventi un disabile, tendi a svalutare tutto quello che sei stato. Per questo devi riuscire ad avere intorno a te delle persone che ti fanno da specchio e ti rimandano che tu sei sempre tu, anche se non cammini, se non parli, non mangi. Se riesci a mantenere la mente lucida, se continui a poter comunicare, la tua integrità come persona è assolutamente preservata. Questo ti dà una spinta e una consapevolezza per sopravvivere. Io ho la fortuna di passare attraverso questa esperienza.
Ne parlo con difficoltà perché un conto è quello che tu senti con te stesso, un conto è vedere il peso, la fatica esistenziale ma anche quotidiana che si accolla chi ti sta intorno. Questo mi fa fare i conti con sensi di colpa che non hanno ragione di essere, ma che esistono. E quindi, è una bella battaglia. Però, fondamentalmente, tutto questo mi ha permesso, nel giro di due mesi, di dire: “Vado avanti”.

Dicevi che non è assolutamente una decisione scontata.
No. La cosa che nessuno sa è che in Italia, pure uno dei Paesi in cui si fa di più per le malattie degenerative, su 100 malati soltanto 15 decidono di fare la tracheo; gli altri scelgono di morire. A me piacerebbe concorrere a far sì che si inverta questa percentuale.

Come pensi che si possa invertire questa tendenza?
Devi arrivare a pensare che la vita ti può ancora dare molto. Può essere molto retorico dire: “Questa è una nuova esperienza, che mi ha portato via tanto ma, come tutte le esperienze, mi può dare molto”. Può essere una frase retorica di cui cerchi di autoconvincerti, oppure può essere qualcosa a cui arrivi perché l’hai elaborato, perché hai scavato in profondità e diventa una tua realtà mentale, anziché qualcosa di posticcio. Ma per farlo servono alcune condizioni. Intanto devi avere già un atteggiamento di un certo tipo nei confronti della vita. E poi devi avere qualcuno che ti ama, perché noi siamo le relazioni che intratteniamo; soli e isolati diventiamo degli oggetti, che non hanno più nessuna possibilità di dare un senso alle cose che succedono. La terza condizione - ed è quella che spesso manca - è che le persone che ti amano devono essere a loro volta supportate perché altrimenti rischiano di ammalarsi con te. Servono sostegni di tipo professionale e anche economico, che consentano di condurre insieme una vita sufficientemente degna. Io conosco degli ammalati i cui famigliari non ricordano più l’ultima volta che hanno dormito tre ore di seguito per notte oppure i cui famigliari da anni non escono di casa. Perché con l’avanzare della malattia ci vuole un’assistenza 24 ore su 24. Una mia amica sarda, economista, che assiste la madre, non esce più di casa perché per ben tre volte solo il suo intervento tempestivo ha impedito alla madre di soccombere alle crisi respiratorie. “E se io esco e succede di nuovo? - dice la mia amica - non potrei mai perdonarmelo”. La mia amica così non esce più.

Manca addirittura l’assistenza domiciliare?
Sì, e non si tratta di casi isolati. Qua e là ci sono isole felici, esperienze interessanti, ma il vissuto dei 5 mila malati di Sla e delle migliaia di persone non autosufficienti è quello dell’abbandono sia dal punto di vista economico che assistenziale.
Qui vicino abita una ragazza di 22 anni che quattro anni fa ha avuto un incidente ed è stata in una situazione di coma profondo; adesso è in stato di “minima coscienza”. Ha gli occhi aperti e reagisce in modo elementare agli stimoli dei genitori. Servirebbe un fisioterapista a domicilio. Il papà dice: “Noi la stimoliamo, ma non ce la facciamo più”. Per alimentare la speranza bisogna che le istituzioni mettano in campo dei servizi adeguati, che ci sia la possibilità che qualcuno venga a casa e metta in campo interventi riabilitativi -o di altro genere - che possano dare un senso al fatto che uno sceglie di continuare a vivere.
Se l’85 per cento dei malati sceglie di non fare la tracheotomia, è perché non se la sente di continuare a vivere in quelle condizioni; oppure se la sente, ma è solo, non ha chi gli vuol bene. Oppure sa che non avrebbe il sostegno adeguato, né lui né i suoi cari, per poter andare avanti. Ma c’è un altro fatto: anche se tutte queste tre condizioni ci fossero, sai che dopo aver preso la decisione di andare avanti non puoi tornare indietro, non puoi più “staccare la spina”.

Tu credi che l’irreversibilità della scelta sia uno dei motivi che fa dire no alla tracheotomia e quindi rinunciare alla vita.
Credo di sì. Io conosco un caro amico che ha già deciso di non fare la tracheotomia proprio per questi motivi.

Come associazioni vi state battendo perché cambi qualcosa?
Questo è un discorso molto difficile, perché le coscienze sono divise. Io credo di poter dire, avendo conosciuto molti malati, che chi vive sulla propria pelle questa situazione non ragiona in modo ideologico o integralista. Il diritto della persona alla vita comprende anche il diritto a poter morire serenamente, adeguandola al proprio personale significato della vita.
La vita non sempre e comunque, ma una vita degna di essere vissuta. Questo presuppone il diritto inalienabile a scegliere il proprio destino. Ma anche nelle nostre associazioni, se parli di autodeterminazione passi per uno che lotta per la morte, passi per un nichilista... Questa è una forma di coartazione, molto diffusa, anche tra gli addetti ai lavori. Purtroppo, quando si fanno discorsi di questo tipo, si tende a schierarsi e a semplificare qualcosa che invece è molto complesso.

E tu, nonostante tutto, te la senti di dire sì alla tracheotomia, di andare avanti.
Sì. Anche se parlare di queste cose mi emoziona, in realtà io ho un atteggiamento molto curioso per cui io mi diverto ogni giorno per quello che faccio. Mi divertivo prima e continuo a divertirmi adesso. E quindi per me è abbastanza naturale non rinunciare a vivere, a meno che, appunto, non ti si prospettino le condizioni che dicevo prima, per la mancanza di amore e di sostegno che ti impediscono di affrontare la vita con questo spirito. Io so benissimo che, rispetto agli altri malati, sono un privilegiato. Per tutte queste cose me la sento. Assolutamente.

Ora veniamo a qualcosa di più... facile. Appena sei venuto a conoscenza di questa tua condizione, tu ti sei messo in contatto con le associazioni che se ne occupano, a informarti.
Sì. Quando, alla fine del 2009, ho finito quel paio di mesi di “quarantena”, mi sono iscritto a un forum nazionale (Sla Italia) che vede la partecipazione di qualche centinaio di malati o loro famigliari e che consente di comunicare in tempo reale. È una sorta di gruppo di auto-aiuto ed è anche una fonte interessante di aiuto tecnico. Ho cominciato a conoscere le storie e le situazioni di molti malati e contemporaneamente ho reso pubblica la mia condizione. Io non avevo mai fatto mistero della mia malattia (al lavoro, con gli amici), ma quello è stato il momento in cui ho iniziato a raccontare la mia storia, a portare la mia testimonianza.
Inoltre mi sono chiesto che cosa potevo fare io, come medico, per dare un senso al mio “continuare a esserci” e per continuare a fare quello che ho sempre fatto. In fondo, da medico, ho sempre cercato di mettermi dall’altra parte della scrivania. In questo caso è tutto molto più semplice, perché adesso dall’altra parte della scrivania ci sono anch’io. E quindi ho una credibilità ed una possibilità di capire molto maggiore di prima.

E ti sei fatto promotore di un nuovo blog.
Sì, con una ragazza di Alghero, un avvocato di Roma e un collega di Caserta ho aperto una modalità diversa, con l’obiettivo di dare sostegno, di fare denuncia e di offrire un’informazione corretta. Nel giro di venti giorni si sono iscritti in cinque mila. Una cosa assolutamente inattesa, non preventivata. Per accedervi bisogna essere iscritti a Facebook.

Hai voluto metterti in gioco anche come medico.
Sì. Perché quello che mi interessa non è solo conoscere gli altri malati o raccogliere fondi da inviare a qualche ente di ricerca (che spesso, ahimè, adottano metodi clientelari), ma cercare di lavorare, di far crescere il ruolo pubblico sia nel campo della ricerca che nell’organizzazione dei servizi. Ho parlato con i colleghi che mi hanno in cura. Ho spiegato che mi sarebbe piaciuto fare un’indagine in Piemonte per conoscere il livello assistenziale reale; quindi incrociare questo dato con quello che viene dichiarato dalle istituzioni socio-sanitarie per ottenere una fotografia sia delle esperienze pilota - che pure ci sono e funzionano - e sia delle enormi criticità, per poi provare ad immaginare un progetto di intervento il più completo possibile.

E chi si occuperebbe di questa indagine?
Quando ho prospettato questa idea al prof. Adriano Chiò (docente universitario, uno dei massimi esperti di Sla, che ha aperto e dirige il Centro Sla alle Molinette), ho saputo che esiste un progetto interregionale che si propone, in un biennio, di disegnare e sperimentare la rete territoriale di assistenza alle malattie neuromuscolari. Contemporaneamente, nel dicembre scorso, l’allora assessore regionale alla Salute Eleonora Artesio aveva identificato, seppure genericamente, la rete territoriale di assistenza a queste malattie e aveva istituito due centri di riferimento a Torino e Novara. Tutto questo fa sì che in Piemonte, più che in altre regioni, le condizioni di partenza siano interessanti.

Dunque ti occuperai tu di questo progetto interregionale.
Io mi sono candidato a portarlo avanti. Ho cominciato a lavorarci mettendo insieme un piccolo gruppo di lavoro: una dottoranda in Scienze sociali, ad esempio, che mi sta aiutando a mettere giù un questionario da somministrare a tutti i malati. L’idea è di partire con il primo step del progetto. Se riesco a farlo come dipendente pubblico bene, anche se ci sono un mare di difficoltà burocratiche, altrimenti lo faccio a livello di volontariato. Questa è la prima cosa a cui tengo parecchio.

C’è una seconda cosa?
Sì. Ho cercato di mettere in piedi alcune iniziative anche di visibilità con l’obiettivo, oltre che di raccogliere fondi, anche di riuscire a mettere insieme le diverse associazioni. Ho cercato di impostare un discorso che non riguardi soltanto questa patologia specifica, ma che guardi a tutte le patologie che hanno bisogni socio-sanitari molto simili e a tutte le gravi disabilità. Cercando volontari per realizzare queste iniziative, sono venuto in contatto con altre associazioni, con l’Apasla - Associazione piemontese per l’assistenza alla Sla - che, a differenza di altre, ha un taglio molto operativo ed è un punto di riferimento concreto per i malati.

È con questi volontari che hai realizzato il concerto di luglio al Lingotto?
Sì. A febbraio ho conosciuto Gianluca Fantelli, cantautore di Bologna affetto da Sla. Gli ho detto: “Sei l’unico artista che può essere testimonial nazionale. Ti faccio venire a cantare a Torino”. E così, con l’aiuto di un piccolo gruppo di volontari e di un consigliere comunale di Torino, abbiamo messo in piedi un progetto e il concerto di luglio. Contemporaneamente, visto che erano disattesi una serie di provvedimenti molto importanti (tra cui l’assegno di cura e l’istituzione dell’assistente famigliare esperto), abbiamo organizzato a giugno un’iniziativa di protesta, in concomitanza con quella nazionale. Io sono andato a Roma per chiedere l’approvazione dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza), mentre a Torino altri malati hanno manifestato sotto la Regione. Abbiamo ottenuto l’apertura di un tavolo di confronto permanente.

Un tavolo non si nega a nessuno...
Sì: tavoli, documenti... Quello che io vorrei, invece, sono incontri periodici in cui avanzare proposte concrete, sostenibili, a cui non si può dire di no a meno di ammettere la mancanza evidente di volontà politica. Dopo l’iniziativa di luglio, comunque, sono stati sbloccati gli assegni ed è stata accettata l’idea di istituire un primo corso per i badanti esperti.

E veniamo al concerto del 29 ottobre a Venaria Reale.
A differenza dell’iniziativa del Lingotto (dove il concerto era accompagnato da una conferenza), a Venaria Reale intendiamo fare una cosa più leggera. Uno spettacolo senza chiacchiere, senza interventi. Mi sono fatto mandare un reportage fotografico sulla Sla (molto bello); ci saranno la musica e le canzoni di Gianluca e, per quanto riguarda l’aspetto informativo, distribuiremo un opuscolo che spiega che cos’è la Sla e il senso della manifestazione.

I due concerti sono a sostegno dell’attività che state svolgendo?
Hanno il preciso intento di dare un contributo concreto a tutto quello che ho detto. E, insieme, concorrono a dare un minimo di visibilità ai malati e alle condizioni in cui vivono. Si tratta di occasioni che danno entusiasmo a chi lavora, ai volontari, che motivano. L’importante è che restino sempre uno strumento e non diventino iniziative fini a se stesse.

LUIGINA AMBROGIO - La Fedeltà 12.10.2010

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