La libertà, infine


C’è chi segue ossessivamente i premi letterari e chi, come tanti ammalati fanno, non perde neppure un’uscita in libreria di ogni suo sconosciuto compagno di sventura, suo perché preferibilmente della sua propria stessa malattia. E poi ci sono i tanti che, al di fuori di questi recinti un po’psicopatologici, hanno avuto l’occasione di conoscere l’opera di Cesarina Vighy, detta “Titti”, semplicemente perché conquistati dalla sua stessa forza creativa. Opera che risulta composta, ahimè, da due soli volumi: L’ultima estate, il romanzo autobiografico con cui la ultrasettantenne bibliotecaria, veneziana e romana di adozione, ha esordito l’anno scorso vincendo, curiosamente, il Premio Campiello per l’Opera Prima, e Scendo, buon proseguimento, l’opera seconda, uscita in libreria appena la scorsa settimana.
Perchè proprio il giorno dopo, 1° maggio, Titti “è scesa” e ci ha lasciato per sempre.

Quello che mi affascina e sorprende della sua vicenda è che questa abbia con la malattia un unico, fondamentale punto di contatto: che sia dal corpo fattosi gabbia che l’autrice abbia tratto la propria assoluta libertà intellettuale.
Avrebbe da molto tempo voluto scrivere, ma non si sentiva autorizzata. Poi, colpita dalla SLA, per sua scelta si è ritirata in casa, concedendosi solo agli affetti più cari e a chi la assisteva. Ha considerato il decadimento fisico devastante della malattia un’offesa, una mutilazione, e ha rifiutato di accettarla, perché, come ha scritto nell’Ultima estate, si accetta quel che viene proposto, non ciò che viene imposto con la forza. In realtà ha saputo invece elaborare il lutto del corpo trasfigurandone e sublimandone il senso di impotenza nella libertà di quel che resta, dopo il corpo che cede: l’interiorità, il pensiero.
Si è definita “spudoratamente libera: perché dovrei temere per i miei rapporti affettivi? Censurare i pensieri sarebbe come aumentare lo scacco, aggiungere blocco al blocco. La libertà di parola e il coraggio delle proprie convinzioni sono una conquista.”

Così, ha scritto intensamente, distillando nel suo primo romanzo tutto il suo personalissimo stile, scrivendo non la storia della malattia, ma la storia di una vita, lontanissima dalla malattia, che fa appena capolino solo nell’ultima, irresistibile parte del libro. “Ma io, la larva cocciuta, ho provato intanto l' estasi della scrittura. Scrivo e scrivo, con una facilità e una felicità mai provate prima: quasi ho dimenticato la sfida a resistere per riversare nel mio libro quello che mi è capitato nella vita di bello e di brutto, entro ed esco dalla malattia come un fantasma attraversa i muri, beffando chi si ferma davanti a una porta chiusa. Ho qualcosa di meglio da fare, io: recuperare la mia vita che sembrava ormai spezzata in due tronconi, prima della malattia e dopo la malattia. Solo ora ho scoperto che ci si può stare anche "dentro", profittando di quel dono avvelenato che ci hanno fatto: mantenere la mente lucida, forse più lucida di prima, sino alla fine. Via il pigiama, lavarsi o farsi lavare, vestirsi o farsi vestire: è un viaggio che ci aspetta, lungo o corto che sia. I miracoli li facciamo noi.”

La spiritualità che traspare dalle sue “laicissime pagine” le è riconosciuta addirittura dal teologo Vito Mancuso, che si è lasciato progressivamente conquistare dal suo secondo volume, man mano che questo prendeva forma, fino ad accettare di scriverne l’introduzione. Un’opera letteraria che percorre, nella sua costruzione, un intero itinerario, partendo dalla raccolta di lettere che nell’era di internet Cesarina ha scritto per 3 lunghi anni, come suo personale ponte col mondo, per approdare infine al lavoro compiuto, e inanellando, lungo il sentiero, personaggi e storie con mirabile equilibrio fra tragedia e commedia.
Nell’ultima intervista ha detto: “In famiglia abbiamo sempre scherzato su tutto. Con mio marito, in particolare, è stata la chiave per esorcizzare la paura: siamo entrambi indifesi di fronte alla prepotenza del male, all’ingiustizia, e abbiamo fatto dell’ironia e del cinismo (un altro segno di debolezza, in fondo) la nostra corazza di cartone contro i mali del mondo”.




intervista per "Extraterreni" - Raisatextra - 2004

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