Qui siamo

Nulla è cambiato e nulla è più come prima.
Perché questa rabbia?
Perché queste accuse?
Che io finga di non sapere,
che io guardi e non veda.
Che nel mezzo della catastrofe,
quando si imporrebbe una pausa,
lo spettacolo avanzi, la recita non si interrompa.

No, non è paura, ti sbagli, è terrore,
è sollievo che questo orrore non mi riguardi,
che ancora una volta io sia qui, indenne,
Ma non posso negare, io so.
I tuoi piedi pesanti, ogni giorno di più,
le tue gambe contratte,
le cadute continue.
E il respiro affannoso,
la penna incerta,
le parole scandite,
il sorso d’acqua che scende a fatica, ogni giorno di più.

Sono qui, non fuggo specchiandomi in te,
non volgo lo sguardo altrove,
non invoco esorcismi.
Io stampello il tuo incedere monco,
richiudo l’asola e ti allaccio le stringhe
Ti insapono la schiena
E massaggio i tuoi piedi.
Ma pure proseguo i gesti abituali,
le stesse parole, il sorriso un po’ ambiguo che sai.
Non uso frasi di circostanza, non abbasso la voce,
non sussurro lamenti o scongiuri.
E non sgrano il rosario, non prego né maledico.
Non resto in attesa, non corro in cerca di guarigioni improbabili.
Riposo la sera attendendo il mattino,
riparo d’inverno guardando al disgelo,
accompagno la tua malattia come fosse
la prima canizie
tanto temuta.
Come l’incedere di una nuova stagione.

Ti guardo e ti vedo,
mi specchio e ho tenerezza di me,
sento di avere indulgenza per le mie debolezze.
Per noi, per la malattia.
Per i nostri confini
dai quali, eppure,
espatriamo ogni giorno.
Non ci porteremo dietro nulla,
nemmeno il corpo, che credevamo immortale.
Ma ora qui siamo.

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